La Capitaneria di porto a Civitavecchia ha subito nella sua lunga storia profondi cambiamenti per adeguarsi all’evoluzione del contesto politico, industriale, economico e sociale del territorio.
Il libro ripercorre la storia dell’autorità marittima nel porto di Roma, dalla progettazione di quest’ultimo ad opera dell’imperatore Traiano, attraversando gli anni dell’amministrazione pontificia, fino a quando, il 16 settembre 1870, quattro giorni prima della cosiddetta “breccia di Porta Pia”, la squadra navale italiana sbarcò nel porto di Civitavecchia ed occupò il primo edificio pubblico di valore strategico: la Capitania di porto pontificia. Con l’annessione di Civitavecchia al Regno d’Italia, la locale amministrazione marittima divenne a tutti gli effetti la Capitaneria di porto, che tutt’oggi presta il suo servizio a beneficio della comunità.
Attraverso un linguaggio di sintesi, nei sei capitoli che compongono il volume si ripercorrono i principali momenti di questo lungo periodo, aggiungendo un tassello significativo alla storia di Civitavecchia e tratteggiando i profili di alcuni protagonisti raccontandone aneddoti curiosi così come episodi divenuti celebri.
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Saggio pubblicato all’interno del Bollettino n° 29 edito dalla Società Storica Civitavecchiese.
E’ assai difficile, se non impossibile, dare un inizio cronologico all’utilizzo del segnalamento marittimo nel porto di Civitavecchia. Il primo poeta che ci parla di come si orientassero in prossimità della costa gli antichi piloti è Omero; difatti nell’Iliade troviamo indirettamente la conferma dell’esistenza di luci che guidavano i naviganti, quando il poeta paragona il brillio dello scudo di Achille al “chiarore d’un fuoco acceso” che “splende in mare ai naviganti”.
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Trascrizione fedele dei brogliacci di bordo.
Al momento dell’entrata in guerra, allo scoccare della mezzanotte del 10 giugno 1940, l’Italia disponeva una delle più grandi flotte di sommergibili al mondo, composta da 113 scafi di 27 tipi diversi, di cui una settantina erano destinati a svolgere la propria attività nel Mediterraneo mentre circa trenta avrebbero dovuto dare la caccia ai convogli nemici nell’Atlantico. Questi numeri ponevano la flotta sottomarina italiana al secondo posto al mondo dopo quella statunitense per tonnellaggio complessivo e a quella sovietica per numero di scafi.
I sommergibili italiani avevano essenzialmente due obiettivi: distruggere le navi nemiche, i mercantili e in particolare, le petroliere che avrebbero fornito al nemico il carburante necessario a far funzionare i propri mezzi militari e proteggere i convogli che trasportavano le risorse fondamentali per la guerra in Africa.
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